È passato un po 'di tempo dall'ultima volta, quindi oggi vorrei parlarvi di una mia fotografia.
L'unica cosa diversa dallo stare in casa che ho potuto fare negli ultimi 14 mesi è stato partire per un breve viaggio in Islanda.
Se avete visto questo mio video sapete che ero partito per quei 15 giorni di libertà pieno di buoni propositi, specialmente verso il mio approccio alla fotografia di paesaggio: un genere che ho sempre amato, ma poco praticato.
Ebbene. Di quei buoni propositi ben pochi sono stati rispettati. Ero arrugginito e sebbene il paesaggio islandese fosse, detto in parole povere, semplicemente incredibile e meraviglioso per i primi giorni ho vissuto una specie di dramma.
Avevo l'ansia. Avevo l'angoscia di stare sprecando il poco tempo a disposizione con immagini banali. Volevo mettere me stesso nelle foto, ma ero prigioniero dell'ansia da prestazione e sbagliavo inquadrature, tempi, messaggi.
Dovete sapere che la mia fotografia abituale prevede il contatto con altre persone, uno scambio costante di idee con la modella o il modello che sto fotografando, una conferma semi immediata di una intuizione.
Ho bisogno di chiacchierare un po', di instaurare un rapporto con il mio soggetto.
Ad un paesaggio non puoi parlare, non nella maniera tradizionale almeno e io non sono mai stato capace di fare qualcosa cosí, "de botto" come direbbero gli sceneggiatori di Boris.
La gente non mi sta subito simpatica e io non sto subito simpatico alla gente.
Sono sempre stato un diesel in tutto. Per questo quando facevo atletica non correvo i 100 metri, sebbene fossi piuttosto veloce, ma i 1500. Perché mi piace studiare prima dello scatto finale.
Quindi in Islanda ero nel pallone. Sapevo che il Covid-19 non era sconfitto e che presto si sarebbe tornati al punto di partenza e avevo il terrore di sprecare quel poco tempo a disposizione temendo che non ne avrei avuto altro per mesi e mesi come poi effettivamente è successo.
Ad un certo punto ho dichiarato sconfitta e ho deciso di smetterla con questa spasmodica ricerca di qualcosa che nemmeno io sapevo cosa fosse e di divertirmi. Almeno mi sarei gustato la vista dell'Islanda, la sua aria purissima e l'odore di muschio, zolfo e mare.
L’ho presa com’è venuta.
Ed è stato allora che dal nulla, una nuvola ha deciso di spaccarsi al punto giusto per lasciar passare pochi raggi di sole. E questi raggi di sole, di tutto il canyon di Fjaðrárgljúfur, hanno deciso di illuminare un singolo albero e la retrostante cascata.
Più o meno qui
Fotoni al posto giusto e al momento giusto.
Tutto è durato al massimo 30 secondi, ma in quei trenta secondi ho visto l'immagine che volevo.
L'avevo chiara in mente. Non ho dovuto studiarla: è stato come se mi fosse stata impiantata in testa da fuori.
Cosí, de botto.
Avevo il 100-400 montato e non ci faccio nemmeno caso. La macchina era in priorità di diaframmi. Punto e scatto come se avessi in mano una usa e getta. Ne ho scattate 2 a distanza di 10 secondi l’una dall’altra.
La prima, siccome ero in priorità di diaframma è venuta mossa e l’ho capito subito dal suono dell otturatore senza nemmeno doverla rivedere. Per la seconda ho messo in manuale e ho esposto come volevo, ottenendo una scena molto contrastata, con la luce che cade sull’albero a sinistra che mi ricorda uno striminzito Galathilion di Valinor e sulla cima della collinetta sul quale, solitario, si erge. La cascata in sulla destra, in secondo piano da contesto e aggiunge una sinuosa forma che completa l’altra curva di luce e forma come un imbuto visivo.
Un’immagine grafica, islandese ma non troppo, con un soggetto eroicamente malinconico che mi affascina e che mi rappresenta pienamente.
Finalmente, quando meno me lo sarei aspettato, l’interruttore è scattato. Ho capito come avrei dovuto fotografare quella terra baciata dalla bellezza e cosí ho cercato di fare per il resto dei giorni che mi restavano al parallelo 66.