Con il termine Gnossiennes non si definisce nulla. Non serve indagare.
È una parola che s’è inventato Eric Satie per battezzare un nuovo tipo di struttura musicale che stava sviluppando negli anni 90 del XIX secolo.
Ne ha scritte sei e hanno una struttura particolare in quanto prive della notazione di tempo e delle barre. Io non sono un musicista, non so leggere gli spartiti, ma so che se togli queste informazioni a qualcuno che invece sa farlo puoi ottenere di tutto.
Infatti basta cercare la parola Gnossiennes su Spotify per imbattersi in ogni tipo di interpretazione. Prendiamo ad esempio la prima: Gnossiennes No.1.
Si va dalla versione genialmente spiazzante, veloce, scorbutica e piena di umanità di Aldo Ciccolini a versioni più delicate, pensierose e forse anche più… convenzionali come ad esempio quella di Cristina Ariango.
Tutto questo discorso su Eric Satie ha senso. Promesso.
Un giorno infatti ho invitato a casa mia Nina, una modella e attrice con cui avevo già collaborato diverse volte e con la quale oramai eravamo entrati in amicizia.
Lavorare con Nina è sempre stato divertente e fonte di ispirazione, perché invece di eseguire il “compitino” lei si è sempre posta in modo propositivo davanti alla fotocamera. Le interessa realizzare qualcosa di bello, qualcosa che valga la pena realizzare.
Questo suo carattere per me è manna dal cielo. La cosa più interessante e di ispirazione, per me, è avere uno scambio con la modella. Capire cosa le passa per la testa e cosa ne pensa di un un progetto o di un’idea che mi è venuta in mente.
L’idea quel giorno era di scattare parte di un progetto che stavo seguendo da qualche tempo e che riguardava il rapporto tra fotografo e soggetto, nello specifico un soggetto esperto nello stare davanti alla fotocamera e con cui avessi già un rapporto di fiducia completa.
Questa conoscenza era necessaria e fondamentale perché volevo che fosse la modella stessa ad avere l’assoluta precedenza nella scelta delle pose con l’unico caveat di dover in qualche modo avere un’interazione diretta con la fotocamera e di conseguenza con me che, in quel momento, usavo appositamente un 20mm per ridurre le distanze e per entrare fisicamente un pochino di più nello spazio vitale della modella.
È una serie di cui sono molto orgoglioso. Penso siano usciti ottimi scatti alcuni al limite del’erotico, altri più intimi, alcuni ancora insoliti ed altri meditabondi. Nessuno premeditato. Totale improvvisazione. Amo improvvisare.
Ok, ma veniamo alle Gnossiennes, non divaghiamo troppo.
Dovete sapere che mentre scatto ho sempre la musica accesa. Passo ore ed ore a scegliere la playlist giusta per ogni set. Questo lavoro serve sia a me che alle modelle per entrare in un certo stato d’animo. Ascoltare la stessa musica ci fa entrare in sintonia e ci mette su di una frequenza il più possibile simile.
Quando stavo realizzando il set di cui sopra con Nina, ad un certo punto, non so perché, in mezzo alla playlist composta principalmente da musica indie anni 2000 è finita per sbaglio (o per fortuna) Gnossienne N° 3.
All’inizio non ci abbiamo fatto troppo caso. Stai lavorando, sei quasi in trance, scatti e vai avanti, ma abbiamo iniziato a rallentare. All’unisono.
Quelle note sottili di pianoforte erano totalmente distanti dai movimenti e dalle immagini che stavamo realizzando. Questa è l’ultima foto di quel pomeriggio.
In quell’occhio di Nina ho visto come un punto interrogativo, un cambio di frequenza, e sebbene reputi questa specifica immagine una delle migliori ottenute quel giorno ho capito che la vibrazione s’era interrotta.
Le ho chiesto di rivestirsi e mentre lei si sistemava io sono uscito dalla stanza e sono andato al mio pc per creare una playlist composta dai lavori di Satie.
Al mio ritorno abbiamo ascoltato i brani e li abbiamo messi in loop mentre parlavamo di come sarebbero venute le foto del set appena concluso una volta sviluppate.
Io, devo dirlo, mi sentivo un po’ vuoto. Quando mi si interrompe un flusso faccio fatica a rientrarci. Mi succede in tutti gli ambiti. Ho bisogno di tempo per concentrarmi.
Nina invece è un vulcano. Mentre riavvolgo la pellicola e metto via la F5 vedo che inizia ad armeggiare con una composizione di fiori secchi che avevo accanto allo specchio sulla parete opposta a quella che vedete nella foto qui sopra.
Capisco che sta pensando a qualcosa, quindi mi preparo e da qui in poi ho come una memoria quasi tangibile di quello che è accaduto in seguito.
Tanto che se notate siamo passati da un lombardissimo passato prossimo ad un palpabile presente.
Prendo la prima luce che ho a disposizione già montata su stativo, un soft-box ottagonale a luce continua, e lo punto verso di lei creando una Rembrandt alla bell’e meglio, poi recupero la digitale per scattare. Non volevo perdere tempo a ricaricare la pellicola.
Nel mentre Nina prende in mano una rosa secca strappandola dalla composizione e la porta sotto al mento guardando alla sua sinistra.
Ha occhi che vanno lontano lisci e malinconici come le note di Satie.
Ha qualche ciocca di capelli fuori posto.
Ha una camicia nera a maniche larghe con una specie di drappo, non so come si chiami, anch’esso nero, e la pelle molto bianca.
Ha le mani che stringono con forza, ma allo stesso tempo delicatamente, la rosa che a sua volta ha i petali ormai amaranto e il gambo verde chiaro.
Scatto una fotografia.
Nina non si aspetta ancora lo scatto, ma mi conosce.
Inizia a muoversi, usando la rosa come fosse un dito per indicare la Luna. Gli stolti guardano la rosa, io vedo solo gli occhi di Nina e il suo modo di inspirare la malinconia.
Iniziamo una nuova danza, una più delicata, una senza il tempo segnato all’inizio proprio come le composizioni di Satie ed alla fine scattiamo cinque fotografie senza dirci nulla. In totale silenzio.
Un primo piano frontale in cui gli occhi parlano di un pensiero lontano e nascosto. Lo conosce solo lei.
Poi scattiamo questa, che conoscete molto bene e che è la mia preferita perché sulle prime lo sguardo cade sul volto, tuttavia le mani e la rosa si staccano così tanto da costringerci a notarli, a notarne l’inclinazione e la caducità, ma dopo poco torniamo sugli occhi e percepiamo come una preoccupazione, come un fremito.
Amo questa immagine.
Decido allora di avvicinarmi un filo e cercare di entrare ancora di più negli occhi, di dare loro ancora più importanza, ma Nina si gira alla sua destra. Sembra dirmi di allontanarmi, di lasciarla un attimo con i suoi pensieri.
Allora mi allontano. Apro tutto il diaframma che non avevo nemmeno notato essere a f/4 e scatto per un ultima volta.
Ho come la sensazione di aver finito qualcosa e devo ammettere di sentirmi anche piuttosto stanco. Metto giù la Sony, la spengo, e guardo Nina come ad applaudire telepaticamente mentre il loop di Satie va avanti inesorabile.
Il tutto sarà durato al massimo 5 minuti.
-Che bomba!- le dico. È il mio tipico modo per sottolineare quando qualcosa mi riesce particolarmente bene. Lei lo sa benissimo.
-Bomba atomica- conferma. Poi mi chiede: -Come sono venute?-
-Non ne ho idea. Le guardiamo dopo-
-Mi sa che ho rovinato il bouquet-
-Non importa. Anzi, hai fatto bene-
Satie continua ad andare e mentre beviamo un caffè decidiamo che se le Gnossiennes di Satie sono sei allora il set si deve chiamare Gnossiennes n°7: una composizione in versi e tempi liberi, una serie che ognuno può interpretare come crede e che è nata dalla fiducia e dalla reciproca conoscenza. Uno di quei momenti che non cambiano il mondo ma sono importanti per chi li vive.
Cosa chiedere di più da cinque fotografie?
Un Abbraccio
Haku
Wow, un racconto affacinante! Tutte le foto sono della stessa sessione? Sembrano quasi due modelle diverse...