Queste immagini sono spezzate, sono come una granata esplosa e ricomposta alla bell’e meglio, come il loro autore.
Qualcuno di molto paziente dev’essere passato a raccogliermi nella forma dei frammenti in cui mi trovavo e deve essersi messo a ricomporre i cocci, spiegandomi pian piano, come si fa con i bambini, cose che pensavo di conoscere già.
La mia realtà è fragile.
Per farmelo capire è bastato un piccolo, minuscolo, prisma da due soldi comprato all’uscita di un museo in uno di quei negozi dove si mercanteggia l’esperienza estetica dell’arte. Li trovi sempre alla fine, prima di tornare a casa.
Bookshop li chiamano quelli giusti.
Il prisma era accanto ad una tazza con la brutta riproduzione di un dipinto che non era nemmeno esposto al museo e l’ho comprato quasi come una tassa da pagare per potermene andare senza passare da pezzente, per avere un ricordo che non desideravo veramente.
Un fiorino. Un ricordino. Un fiorino. Un souvenir. Un fiorino.
Poi...
L’ho appoggiato davanti alla fotocamera del mio telefono. L’ho fatto senza pensarci. Così, per vedere che cosa sarebbe successo perché sono curioso e non avevo nulla di meglio da fare e all’improvviso ho visto la vastità del nulla al quale appartengo.
L’immagine è un’ illusione, così come la realtà. L’esistenza è una scusa per recitare un ruolo assegnatoci dal caso e dalle convenzioni e basta una sfaccettatura su un pezzo di plastica di bassa qualità per scoprire il velo su di una realtà nella quale non è più possibile riconoscere nulla di familiare.
Basta poco per svelare l’inganno e mostrare come quello che vediamo, quello che ci piace fotografare non sia altro che una trasmissione casuale di fotoni tra i miliardi e miliardi di possibili trasmissioni che potremmo captare.
Quel che ci sembra unico, in realtà esiste miliardi di volte. I palazzi sono tutti uguali, le candele sanguinano una sull’altra, l'architettura gotica esplode come mai nessun architetto avrebbe osato immaginare e le persone non sono più tali. Diventano “personae” nel senso di personaggi di tragedie personali, tutte uguali, tutte incompiute, tutte senza debutto.
E le colonne, curve, stirate, SEMBRA che sorreggano una cattedrale, ma in realtà siamo noi, credendolo possibile, a fare in modo che quella cattedrale non crolli.
La cattedrale non esiste più da sempre. Non è mai esistita, nella scala universale. La cattedrale è una costruzione mentale, un fantasma che ci ha consegnato la tradizione. Il caso ha voluto che la conformazione dei nostri occhi e dei nostri sensi in generale, in prossimità di queste particelle subatomiche, suggerissero al nostro cervello l’esistenza di una struttura alta 160 metri o per meglio dire centosessanta volte la distanza che un fotone coprirebbe nel vuoto in 1/299.792.458 di secondo.
Thomas Hobbes sosteneva che tutte le idee fossero solo frutto di costrutti mentali umani e forse aveva ragione, perché qui siamo ad Ulm e per tutti noi una cattedrale dev’esserci, perché sono settecento e passa anni che ce lo dicono e ci sono i turisti che la vanno a vedere e le fotografie che lo provano.
Eppure no. Non c’è una cattedrale.
Le fotografie mentono. Le fotografie MENTONO!
I sensi ingannano.
Vediamo quello che vogliamo vedere ed ignoriamo tutto quello che non riteniamo utile. Il nostro è un cervello primitivo, istintivo e vano come il nostro punto di vista. Come i nostri inutili giudizi.
Chi cerca un senso non lo trova, perché non non c’è un senso.
È impossibile sceglierlo tra le miriadi di scenari possibili. Io stesso esisto in tanti posti diversi come in nessuno.
Sono io che scrivo queste parole? Sono io che mi commuovo ascoltando questa musica?
Sento di essere IO quella stramaledetta cattedrale! Io sono la cattedrale e la cattedrale è me e attorno c'è un baratro profondo come l'universo stesso.
Se volessimo basterebbe pochissimo per salvarci dal destino di un universo insensato destinato alla morte per raffreddamento dove tutto si ferma. Una molecola alla volta. Un atomo dopo l’altro. Tutto fermo. Il nulla.
Per una volta forse tutto perfettamente reale e unitario.
Basterebbe chiudere gli occhi per salvarci, ma non lo facciamo perchè siamo umani e quindi vanamente legati alle cose e le vogliamo vedere e ricordare e raccontare e non comprendiamo che l'unica cosa veramente esistente sono i numeri e che i numeri sono tutti collegati tra loro e nulla avviene che non coinvolga l'intero teorema.
La matematica è davvero il linguaggio della natura e noi abbiamo imparato a parlare e a fotografare e a suonare e a dipingere tentando di avvicinarci ad esso.Il risultato però è grottesco, nemmeno lontanamente paragonabile all’originale.
Non siamo in grado per esempio di descrivere un colore, non siamo in grado di dipingere un suono e pensiamo di poter fotografare la realtà?Questa illusione però è tutto quello che abbiamo. Tutto quello che avremo mai. Questa piccola presunzione è santa!E’ per noi di vitale importanza non sprecare queste poche cose che abbiamo.
Per questo ho iniziato questo progetto. Non ho la presunzione di indicare la via a nessuno nè di trovare una parola finale degna del suo ruolo a questa o quella storia fotografica, ma cerco, meglio che posso, di fare in modo che nessuna fotografia vada sprecata. Che nessuno desista dal fotografare. Che nessuno smetta di illudersi di poter fermare il tempo, di poter tramandare.
Voglio che più voci possibili possano parlare, perchè tutte le fotografie che l’umanità realizzerà da qui alla fine dei suoi epici e travagliati giorni saranno tutte quelle che ci saranno concesse dall’universo, non una di più.
E a ben guardare non abbiamo altri modi per indagare la natura della luce che non siano umani.
Splendido! Mi viene in mente per associazione e per trasversalità legato al futuro e non direttamente alla luce questo “Timelapse of the future” https://youtu.be/uD4izuDMUQA