Molto spesso faccio cazzate
Alan Zamboni, il volto dell'ottimo canale di divulgazione scientifico Curiuss ha scritto un libro molto interessante e scorrevole intitolato "Fallisci ancora, Fallisci meglio". Il messaggio sottostante, detto in soldoni e mancando di rendere giustizia all'autore è che i progressi scientifici sono spesso derivati da fallimenti più o meno grandi e spesso ripetuti.
Ci sta. Alan ha ragione.
Quello che invece non ci starebbe troppo è ciò che succede a me: fallire spesso e fallire peggio. Ci sono alcuni errori sia in fotografia che nella vita in generale che non riesco a smettere di fare. Questo da sempre.
Ad esempio: nonostante conosca italiano, inglese, greco, latino e dialetto pavese mi capita ancora spessissimo fin dalle elementari di scrivere le parole in "zia, zie, zio" con due zeta. Sí esatto: tipo “OSPIZZIO”.
Brutto vero? Ed è solo un esempio. Sicuramente anche in questo testo che state leggendo sarò riuscito ad inserire qualche errore ortografico nonostante l'aiuto di strumenti di correzione ortografica sempre più sofisticati.
Sofisticati, ma mai abbastanza per me.
Questo tipo di fallimenti, piccoli, ma fastidiosi, mi accompagna da sempre e sono sicuro che ci sarà una qualche patologia neurologica associata, ma non ho cuore di cercarla sull'internet.
Un altro tipo di errore che faccio sempre è meno veniale e quindi molto più grave: ogni volta, cascasse il mondo, devo per forza dire di sì a tutti quelli che mi chiedono qualcosa anche quando so benissimo che ci andremo a rimettere entrambi.
Mi succede al lavoro coi colleghi, nella vita con gli amici, per strada con gli sconosciuti, sul treno con i controllori, nello spazio esterno con gli alieni. Ormai lo so che sono fatto così, ci ho fatto l'abitudine e forse proprio per questo ho smesso di odiami quando mi infilo nella solita situazione complicata per un sì sbagliato.
No, non parlo del matrimonio. Per ora.
Ognuno di questi errori che ripeto a nastro, per me, è un fallimento. Un fallimento che va ad intaccare non tanto l'opinione che gli altri hanno di me (raramente se ne accorgono), quanto l'opinione che io ho di me stesso. Non sono errori che mi permettono di migliorare, ma veri e propri blocchi stradali che non mi fanno avanzare come vorrei. Sono cose per le quali mi prenderei a schiaffi.
E ogni volta fallisco peggio.
Naturalmente mi succede anche in fotografia. Io nel podcast, su Youtube e in questa newsletter vi parlo come se avessi tutto chiaro. Tutti quelli che parlano dentro un microfono in qualche misura cercano di darla a bere, perché il modo migliore per guadagnare autorevolezza e far credere di aver tutto sotto controllo.
Quando ho aperto Composizioni, però, l'ho fatto con uno scopo dalla doppia facciata: una altruistica e l'altra egoistica.
La facciata altruistica è quella di fornire a voi che state leggendo spunti interessanti basati sulla mia esperienza per migliorarvi come fotografi. La facciata egoistica è quella di costringermi a mettermi un po' a nudo e provare ad affrontare le mie magagne. Si sa mai che quindi queste cose che scrivo servano ad entrambi: a voi che leggete e a me che scrivo.
Torniamo quindi a bomba sulla fotografia e vediamo alcune delle cazz***… stupidate che compio costantemente e che mi fanno mangiare le mani ogni volta.
la prima è: Tagliare i piedi
L'altro giorno stavo ri-digitalizzando una parte del mio archivio analogico (poi vi spiegherò come mai in un video) e non so dirvi in quante fotografie ho tagliato via i piedi o parte dei piedi della modella di turno. Io non sono un feticista, ma credo che tagliare i piedi lasciandone intravvedere solo una parte sia un cosa fastidiosissima.
Mi irrita quando lo vedo fare dagli altri e letteralmente mi disgusta quando lo faccio io. Eppure ogni volta, specialmente quando realizzo un set dinamico quindi senza cavalletto e/o magari con un grandangolo, smetto di vedere con lucidità tutto il fotogramma e in un rullo da 36 ci sono sempre quelle tre o quattro fotografie con i piedi tagliati.
Ogni maledettissima volta mi attribuisco epiteti che non attribuirei ai miei nemici e mi giuro solennemente di non sbagliare più questa cosa.
Inutilmente
Un altro classico: Non accendere il trasmettitore del flash
Questo è matematico. Succede sempre. 100%
Ogni singola volta in cui interrompo uno shooting per più di qualche minuto spengo i flash e il trasmettitore per non sprecare batterie e immancabilmente alla ripresa delle operazioni accendo i flash e lascio spento il trasmettitore.
Ora. Se scattassi unicamente in digitale sarebbe una rottura, ma ok poco male. Immaginate però di essere nel mezzo di uno shooting su pellicola, avere l'occhio nel mirino della reflex, lasciarvi prendere dalla situazione e iniziare a girare intorno al soggetto, chiedere di assumere una determinata posa o magari attendere qualche secondo che la posa esca da sola spontaneamente (come faccio spesso) e quando è il momento dello scatto non sentire il rassicurante beep del flash che avverte di essersi ricaricato, ma sentire in compenso la modella che ti dice di non aver visto il lampo.
È la cosa più anticlimatica ed imbarazzante possibile. Si recupera, naturalmente. Si finge che ci sia stato un problema tecnico, si va a toccare il flash come diversivo e intanto si accende il trasmettitore di soppiatto. Infine si ricomincia da capo a scattare, ma più di una volta mi è capitato di aver rovinato foto che avrei amato se non fossero state sottoesposte di 4 o 5 stop per questo motivo.
Ad esempio questa scandita proprio ieri.
Con Capture One l’ho in qualche modo "recuperata" un minimo, ma unicamente perché dalla finestra entrava un minimo di luce e perché la foto è stata scattata con la miracolosa Fuji Neopan 1600. Nel mondo analogico, in camera oscura, è di fatto impossibile da stampare.
Forse il più grave: Affidarsi all'abitudine
Sono avvezzo e affezionato al mio workflow e mi ci affido così ciecamente ormai che quando mi capita qualcosa di strano non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello che il problema possa risiedere proprio nel mio preziosissimo workflow e non in altri fattori.
Qualche settimana fa ho pubblicato un video in cui ho parlato della mia difficoltà di scattare fotografie con il drone.
In questo video facevo notare come la lente del mio drone presentasse una vignettatura devastante tendente al verde e aberrazioni cromatiche al limite dell'assurdo.
Ho provato a correggere questi difetti in ogni modo a me noto e in ore di editing sono arrivato ad avere un risultato vagamente accettabile. Il mio workflow digitale si basa al 90% su Capture One e da anni mi trovo talmente bene con questo software che nemmeno per un minuto ho pensato che il problema non fosse del drone, ma di Capture One.
Eppure.
Eppure per puro caso ho voluto provare ad editare sull’iPad una fotografia fatta con il drone (era un’altra occasione rispetto a quella del video) e sull'iPad non ho Capture One, ma Lightroom.
L'immagine in questione è la seguente.
La apro e nemmeno una traccia di caduta di luce o aberrazioni cromatiche. Mi dico che il problema allora doveva stare nelle condizioni di illuminazione. Quei file cosí vignettati e verdolini in fin dei conti li avevo scattati in un paesaggio totalmente innevato che potrebbe aver ingannato il sensore o qualcosa del genere.
La realtà è che l'unico ingannato ero io. Io e Capture One.
Per scrupolo vado a prendere uno di quei file e lo apro, sullo stesso pc, sia con Capture One che con Lightroom. Giudicate voi: questi sono due screenshot dello stesso file non editato. Il primo è Capture One, il secondo è Lightroom.
Ho perso ore a scervellarmi e avevo la soluzione sotto al naso: Capture One non va tanto d'accordo con i Raw di DJI. Manca proprio il supporto, ma siccome sono dei .dng riesce comunque ad aprirli in qualche modo. Però male.
Semplice e comprensibile. Lampante.
Ora ho scoperto che se voglio lavorare sui Raw DJI devo usare Lightroom, ma per giorni ho pensato di vendere il drone e abbandonare la missione di imparare a usarlo per fare fotografia.
Tutto perchè come sempre il mio primo istinto è quello di aggrapparmi alle mie certezze e attribuire le colpe ad altre persone o cose.
Morale della favola
Questi sono solo alcuni dei fallimenti dei quali non riesco a liberarmi. Ce ne sono tanti altri. Sono errori che non mi migliorano, anzi, mi danno solo frustrazione e incazzature. Mi fanno sembrare stupido, mi fanno pensare di mollare tutto, mi fanno sentire giustamente inadeguato. Sono errori che non riesco ad eliminare e che mi rendono peggiore.
Se pensavate che ci fosse un qualche tipo di significato motivazionale in questa composizione… mi spiace.
Il messaggio qui però e chiaro. Magari voi non farete i miei stessi errori, ma di certo ne farete altri. Sono sicuro. E come noi (dai se siete arrivati a leggere fino a qui significa che siamo un team ormai!) sicuramente anche i grandi della fotografia, i nomi che hanno solo da insegnare, i Soloni che pretendono di farci vedere come si fa senza mai avere un dubbio... forse forse a ben vedere anche loro hanno i propri fallimenti ricorrenti e avvilenti, solo che non li scrivono nelle newsletter.
Forse è la condizione umana quella di imparare da alcuni errori e mai da altri.
Ditemi che non sono solo.
Un abbraccio
Haku
Come diceva quello (però di Pavana, non del pavee): «Di tutti quegli sbagli che per un motivo o l'altro so rifare» ❤️
Bello e interessante questo articolo; trasmette comunque grande competenza e simpatia. Nel variegato e non sempre coerente, mondo di youtube, i tuoi video sono di alto contenuto