Ho fatto POP senza scoppiare
Come mi sono approcciato ad uno stile non mio senza abbandonare la mia comfort zone.
Non sono mai stato pop.
Penso che questo si capisca da tante cose come ad esempio il modo sgraziato in cui mi muovo, dagli indumenti che indosso, da come parlo, dal modo malinconico e un po’ disilluso di vedere il mondo.
Mi ricordo che qualche anno fa, insieme ad un gruppo di amici artisti (loro) che comprendeva fumettisti, illustratori, pittori, avevamo pensato di dare vista ad un movimento scrivendo il manifesto dell’arte “Pop Core”.
Ho scritto io stesso il manifesto che prevedeva l’uso di stili e contenuti mutuati dalla cultura pop come colori, rimandi, personaggi, citazionismi vari provenienti dall’immaginario degli anni 80 e 90.
Abbiamo fatto anche delle mostre, ma io non sono mai riuscito a produrre nemmeno una singola opera, perchė, sebbene amassi quel tipo di immaginario, all’atto pratico mi sono sempre ritrovato a progettare immagini che di pop avevano poco o nulla.
Mi capita però ogni tanto di ricevere alcune richieste quando si tratta di realizzare servizi fotografici in modalità TF1 in cui una modella ha bisogno di realizzare immagini con un certo stile magari per un brand con cui collabora o anche semplicemente perchè ha in mente un certo tipo di fotografie da inserire nel proprio portfolio.
Ecco quindi che, qualche settimana fa, Miralin mi ha chiesto di realizzare fotografie in stile “pop” con un completino rosa molto sportivo e accessori blu per un’idea che le era venuta.
Per uno come me, per uno che ama il bianco e nero, la pellicola poco satura, le atmosfere intime da lo-fi, l’idea di tornare a misurami con il pop è stata da un lato preoccupante e dall’altro intrigante.
Non ho mai capito quelli che ti dicono che DEVI uscire dalla comfort zone. Dalla comfort zone ci esci SE VUOI o se non puoi farne a meno. Puoi crescere benissimo anche nella tua nicchia di tranquillità, apportando un miglioramento dietro l’altro a quello che già sai fare bene.
Tuttavia in quel periodo mi sentivo piuttosto audace e spensierato quindi ho accettato e mi sono posto come obiettivo, almeno, di non fare proprio schifo.
Tenere basse le aspettative è il miglior modo per eccederle, ma non ditelo ai colloqui di lavoro.
Ad ogni modo.
Il mio approccio è stato quello di non complicarmi la vita con schemi luce elaborati o con inquadrature insolite. Ho preso un singolo flash al quale ho applicato un gel violetto. Poi ho usato un softbox bello largo, un muro semplicissimo (avevo scelto un particolare AirBnB di Bergamo giusto perché avevo visto questa parete di mattoncini che poi ho scoperto essere finti) e ho chiesto a Miralin di muoversi liberamente per come lei immaginava il suo personaggio.
Su questo ci sono due scuole di pensiero
Dovete sapere che non sempre i fotografi lasciano le modelle la libertà di muoversi come vogliono. Ci sono varie teorie in proposito e se da un lato alcuni, come me, ritengono che sia meglio cogliere gli attimi che capitano, le espressioni fugaci, dall’altro ci sono fotografi altrettanto bravi che invece chiedono pose specifiche e dirigono molto la modella. Li capisco. A volte capita anche a me, specialmente quando scatto in grande formato, di avere la necessità di avere una certa posa e che questa venga mantenuta.
Ci sono comunque valide ragioni per entrambe le filosofie. Lasciando libertà sacrifichi un certo numero di fotografie non riuscite in cambio di un certo altro numero di immagini potenti e naturali.
Dirigendo invece sei molto più padrone del risultato e da un certo punto di vista anche più “autore“ se mi passate il termine, ma rischi, a seconda della modella con cui lavori, di raffreddare la situazione e di interrompere troppo il flow.
La mia scelta era da trovarsi tra due ipotesi: lasciar fare a Miralin e vedere come LEI interpretava una serie pop alla quale teneva particolarmente, lasciando a me stesso solo il compito di catturare quello che di buono mi si formava davanti agli occhi spontaneamente e badare a luce e pulizia dello scatto, oppure sforzarmi oltre ogni mia previsione nel tentativo di immaginare qualcosa che semplicemente, purtroppo, non abita in me.
Per dirigere qualcuno devi per forza sapere in che direzione puntare. Non credete?
Penso che in questo caso la scelta di rimanere nella mia comfort zone, l’idea di non strafare ed anzi affidarsi alla persona con cui stavo collaborando sia stata quella giusta.
Le pose di Miralin sono credo abbastanza pulite e non troppo forzate, anche quelle in cui appare più scomoda come quella qui sopra. Le abbiamo realizzate insieme in modo molto spontaneo. Non ci sono state pause tra uno scatto e l’altro e tutto il set è stato fatto in circa dieci minuti.
Easy peasy lemon squeezy come si dice.
Le fotografie che ne sono uscite rispecchiano entrambi e alla fine non sono così distanti dal mio gusto. Non dico che potrebbero stare nel manifesto Pop Core, ma qualcosa di buono sono e va già più che bene così.
Con questo cosa voglio dire? Che bisogna sempre fare il minimo sforzo? Che bisogna sedersi in poltrona a poltrire nella propria zona di benessere?
Assolutamente no, ma specialmente quando si collabora con qualcuno e si mette in campo un investimento di tempo da entrambe le parti credo che forzare la mano (con il rischio di perdere un sacco di quel prezioso tempo e con la possibilità di essere delusi dal risultato o peggio di deludere la persona che ci ha dato fiducia) sia poco auspicabile.
Bisogna anche riconoscere i propri limiti, sapere quello che sappiamo fare bene, quello in cui ci possiamo arrangiare, quello che possiamo pensare di provare e quello che, invece, proprio non fa per noi.
Vi lascio così. Con un messaggio di normalità.
Non diamo sempre retta ai guru della hustle culture che ci dicono di osare, spingere, pompare, spaccare, spaccarci e aggiungere, aggiungere sempre.
A volte hanno ragione, per carità, ma a volte sonno solo persone che non ci conoscono e che vorrebbero farci vedere le cose a modo loro.
Non sempre va bene.
Un abbraccione!
Haku
Che cosa ho combinato ultimamente?
Ho pensato di riassumere nelle newsletter “Composizioni” la produzione che ho messo online tra un’uscita e l’altra in modo da non intasare il canale Telegram e le vostre notifiche. Spero possa farvi piacere.
Iniziamo con il riepilogo di Maggio!
All’inizio vi ho parlato del libro di Mark Neville “Stop Tanks With Books“ dedicato all’Ukraina, poi vi ho presentato il futuro di OTNOL e Tipeee, vi ho portat* con me sul set mentre riprovavo l’emozione di scattare con il 105mm f/2.5 Nikkor.
Ad un certo punto mi è venuto in mente che forse non tutti sanno cosa significa esattamente f/2.5 quindi ci ho fatto uno short.
Siccome alcune dichiarazioni di Adam Mosseri mi hanno incuriosito ho fatto con voi un ragionamento sul futuro della fotografia secondo Instagram e subito dopo mi sono avventurato in territorio NFT parlandovi di tre progetti fotografici che hanno avuto successo.
Infine, dopo avervi parlato del bellissimo libro di Valerio Vincenzo “Borderline“, ho introdotto una giovane fotografa molto interessante che si chiama Margaret Durow che ci porta nel modo della fotografia come terapia.
Di tutti questi contenuti, se devo essere sincero, il mio preferito è sicuramente quello su Borderline. Ve lo metto direttamente qui sotto.
E voi? Ne avete apprezzato uno più di altri? In ogni caso se vi siete persi qualcosa e volete recuperarlo… qui sopra ci sono tutti i link :)
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TF sta per “Time For” e rappresenta una forma di collaborazione che molto spesso avviene tra fotografi e modelle nella quale ognuno impegna il proprio tempo in cambio della possibilità di arricchire e/o migliorare alcuni aspetti del proprio portfolio. Magari chi fotografa vuole realizzare un progetto particolare e chi viene fotografato ha bisogno di nuovi ritratti o nuove immagini con un certo stile. Ecco allora che ci si viene incontro e si realizzano queste cose senza uno scambio di denaro, ma, appunto, con uno scambio di tempo.